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Droghe leggere, il punto sulla situazione negli USA/.2

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– Uno speciale in due puntate che esamina dal punto di vista politico e giuridico il risultato, senza precedenti negli Stati Uniti, dei referendum sulla legalizzazione delle droghe leggere anche a scopo non terapeutico, in Colorado e Washington. Qui il link alla prima parte.

Al netto delle differenze costituzionali sull’istituzione referendaria in Italia rispetto agli Stati Uniti, la differenza che emerge tra le due realtà è data principalmente dal dibattito che ha preceduto le votazioni dei referendum americani e che non ha accompagnato, se non in sedi limitate, l’emanazione delle leggi regionali.

Nell’analisi dei fattori che hanno giocato un ruolo primario nella vittoria dei referendum, quello legato alla speranza che la legalizzazione della marijuana sia da stimolo all’economia e che riempia le casse dello Stato con i ricavi dalla sua tassazione ha un peso considerevole che vale la pena approfondire, poiché il dibattito che si è venuto a creare intorno ad esso, in pieno clima referendario, ha coinvolto centinaia di attivisti pro-marijuana ed economisti.
Sono, infatti, oltre 300 gli economisti, inclusi 3 premi Nobel, che hanno firmato una petizione che chiede al Presidente, al Congresso, ai Governatori americani, di considerare attentamente la proposta di legalizzazione della marijuana negli Stati Uniti. La petizione richiama la sua attenzione sul report “The Budgetary Implications of Marijuana Prohibition“, a cura di Jeffrey A. Miron, Professore di economia presso la Harvard University, pubblicato nel giugno 2005, i cui risultati evidenziano un sostanziale risparmio di costi in cui incorrerebbe il governo federale se regolamentasse e tassasse la marijuana invece di spendere, come accade attualmente, miliardi di dollari per far rispettare la sua proibizione.

Nello specifico, Miron ha calcolato che attualmente il governo federale, per far rispettare il divieto di consumo e produzione di marijuana, spende 7,7 miliardi di dollari all’anno. A questo risparmio si aggiungerebbero circa 2,4 miliardi di dollari l’anno di introiti fiscali se la marijuana venisse tassata come la maggior parte dei beni di consumo, oppure 6 miliardi di dollari l’anno se invece tassata come alcol e tabacco. Certo, si tratta di una cifra che non risolverebbe totalmente i problemi di deficit finanziario in cui si trova l’America oggi, considerato il buco di miliardi di dollari di debito in cui la crisi finanziaria del 2008 l’ha fatta sprofondare, ma eliminerebbe sicuramente la necessità di tagliare capitoli di spesa molto importanti.

Gli economisti che hanno firmato la petizione, pur affermando che le conseguenze finanziarie sono solo uno dei molti fattori da considerare nel dibattito sulla legalizzazione della marijuana a scopo ricreativo, dichiarano l’importanza cruciale di questi risultati e si augurano che questi occupino presto uno spazio rilevante all’interno della discussione sulla depenalizzazione in tutti gli Stati Uniti. A questo proposito, sono molti gli esperti che hanno azzardato cifre in merito all’impatto che i referendum sulla marijuana avrà sull’economia dei due Stati. Sicuramente, nessuno può dare numeri esatti perché le cifre dipenderanno dai molti fattori coinvolti, tra cui l’entità della tassazione, di competenza del singolo Stato.

Tuttavia, la stima ufficiosa che è stata fatta sulle conseguenze economiche che deriveranno dalla nuova politica sulle droghe leggere per i due Stati prevede per lo Stato del Colorado un ricavo di 22 milioni di dollari ogni anno, mentre per lo Stato di Washington la cifra stimata sembra essere molto superiore, si parla di circa 500 milioni l’anno, perché il provvedimento prevede una tassa del 25 per cento applicata in 3 fasi diverse: nel passaggio dal coltivatore all’intermediario iniziale, in quello dall’intermediario iniziale al distributore, ed infine, nel passaggio dal distributore al consumatore.

Ovviamente, i vantaggi derivanti dalla legalizzazione della marijuana si estendono ben oltre la possibilità di intaccare il deficit federale americano ed un serio dibattito meriterebbe il coinvolgimento anche di altri fattori, come quello della necessità di regolamentare la coltivazione della marijuana al fine di fare emergere il mercato nero o quello dell’alta percentuale di persone detenute per consumo e possesso di marijuana rispetto all’intera popolazione carceraria.

La criminalizzazione della marijuana, infatti, è una delle politiche, all’interno della problematica della guerra alla droga, che più si è dimostrata fallimentare. Il governo federale ha classificato la marijuana all’interno del Controlled Substances Act facendola rientrare tra le sostanze della Tabella 1 (la tabella che contiene le sostanze stupefacenti più gravi), ponendola addirittura in una categoria più pericolosa della cocaina. Oggi, negli Stati Uniti, oltre 800.000 persone sono arrestate per l’uso e possesso di marijuana ogni anno, mentre il 46 per cento di tutti i procedimenti giuridici relativi alla droga in tutto il paese sono per possesso di marijuana. La criminalizzazione della marijuana non solo ha portato un numero sorprendentemente elevato di arresti – uno studio condotto nel 2007 dal dipartimento di Giustizia, ha calcolato che viene speso circa 1 miliardo di dollari all’anno per chi finisce in prigione per il vizio dello spinello – ma riflette anche la componente razziale della guerra alla droga.

Nonostante le prove che ci indicano che la marijuana è usata più di frequente dai bianchi, in America, neri e latinoamericani contano una percentuale incredibilmente sproporzionata delle 800.000 persone arrestate annualmente per reati senza vittima legati al consumo e possesso di marijuana. La componente razziale quindi rende le attuali politiche adottate sul consumo di marijuana ancora più ingiuste ed inaccettabili.

Alla luce di quanto esposto, si rende evidente l’enormità e la complessità dei fattori che concorrono alla formazione di un dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere. Sicuramente, l’esperienza dei referendum americani ci mostra un eccellente esempio di analisi dei suddetti fattori, portata all’interno di un serio dibattito pubblico. Certo, la strada, affinché ci sia una collettiva presa di coscienza del fallimento della politica proibizionista è lunga, anche per gli Stati Uniti, ma, come ha dichiarato Claudia Sterzi, sociologa e dirigente dell’Associazione Radicale Antiproibizionista, per quanto il risultato referendario in Colorado e Washington possa dare il via a una lunga serie di battaglie legali, rimane comunque un passo storico nella lotta per la legalizzazione delle droghe, insieme all’appello di inizio ottobre dei Presidenti di Messico, Colombia e Guatemala, che si sono rivolti al Segretario dell’ONU per una revisione delle politiche proibizioniste.


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